La Federazione Cimo-Fesmed ha condotto nelle scorse settimane un’indagine sulla percezione della qualità del lavoro dei medici della dipendenza. In pochissime ore dall’apertura del sondaggio sono arrivate la maggior parte delle oltre 4.200 risposte totali, provenienti da tutta Italia. Il quadro che ne esce, purtroppo, non è dei più rosei: il 72% vorrebbe lasciare l’ospedale pubblico, il riposo e le ferie sono visti ormai come dei miraggi, la qualità della vita è ritenuta “insufficiente” o addirittura “pessima” dal 30% degli intervistati. E sicuramente l’esperienza del Covid-19 non ha aiutato a migliorare i livelli di stress psicofisico e i rischi professionali, lasciando una sensazione di abbandono da parte delle istituzioni e della società.
In Trentino, terra dell’Autonomia e delle “condizioni contrattuali economiche e normative migliori”, purtroppo e a sorpresa, si registra un quadro a tratti anche peggiore rispetto alla media nazionale.
Il 69% degli intervistati trentini, se tornasse indietro, rifarebbe la scelta di fare il medico, ma solo il 26,6% farebbe la scelta del medico ospedaliero. Rispetto ai colleghi delle altre regioni, in Trentino molti più medici, il 29,3 % (rispetto alla media nazionale del 18,9%), vorrebbe anticipare il momento del pensionamento.
Il crollo, lo si assiste sul fronte delle aspettative, fra il momento dell’assunzione e la situazione odierna, che i medici trentini dimostrano in un diffuso scoramento scadendo dal 76% al 19% nei confronti delle attese sulla professione, dal 38% al 5% sulle aspettative di carriera e dal 37% al 9% sulla remunerazione.
Sulle ore lavorate, solo il 9% degli intervistati dichiara di esercitare 38 ore settimanali (orario contrattualmente dovuto), mentre il 63% lavora fino a 48 ore settimanali e il 28% oltre le 48 (in quest’ultimo caso non è nemmeno rispettata la direttiva europea), scostandoci ancora una volta dalla media nazionale.
Solo il 22% dei dirigenti medici trentini non ha giornate di ferie non godute, l’78% ha da 10 a più di 100 gg di ferie non godute.
Per più del 50% dei colleghi il periodo pandemico ha determinato un elevato livello di stress psicofisico, un peggioramento della percezione del rischio professionale e ha messo a repentaglio anche la sicurezza familiare.
“I risultati del sondaggio parlano chiaro – riferisce la rappresentante dei medici ospedalieri di Cimo Trentino, Sonia Brugnara – rilevano un diffuso disagio in un ambiente lavorativo difficile. Non volere più svolgere il lavoro del medico ospedaliero, non avere aspettative di carriera e volere andare in quiescenza prima possibile, sono tutti segnali di un forte disagio che la categoria dei medici sta vivendo”.
“Ma quello che più lascia sconcertati – continua il Segretario Brugnara – è che non si percepisca da parte dell’Amministrazione, la necessità di affrontare alla radice i nodi che la pandemia ha fatto emergere ed ha reso più evidenti. Si parla della necessità di attrarre professionisti da altre regioni, ma non si mette mano al contratto (unico strumento per valorizzare la scelta di venire a lavorare in Trentino e rimarcare la differenza con le altre regioni), non si provvede a contenere l’eccesso di ore di servizio e l’eccesso di giornate di ferie non fruite o il carico burocratico che attanaglia i medici e fa di loro degli amministrativi ben retribuiti piuttosto che dei buoni clinici. E’ tempo che la politica si faccia carico concretamente di questi problemi ascoltando le organizzazioni sindacali, piuttosto che, come spesso accade, renderci spettatori di cose già decise”.